Il Lopiano Magazine intervista Alessandra Caputo, ex studentessa del nostro Istituto oggi responsabile dell’organizzazione umanitaria Intersos

Con un decreto dello scorso gennaio, l’amministrazione Trump ha deciso di sospendere le erogazioni di aiuti esteri e di smantellare l’USAID, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, un radicale cambiamento che ha destabilizzato l’intero sistema umanitario. Il PAM, Programma alimentare mondiale, ha avvertito che questi nuovi tagli rappresentano una condanna a morte per milioni di persone affamate e le Nazioni Unite hanno chiesto agli Stati Uniti di revocare la decisione, che ha determinato una diminuzione di circa l’80% dei fondi.
Uno dei paesi più colpiti da questi tagli è sicuramente lo Yemen, teatro di numerose guerre e devastazioni che vive una delle peggiori crisi umanitarie del mondo. Gli aiuti umanitari erano una delle poche risorse rimaste per milioni di yemeniti ed il taglio dei finanziamenti ha avuto un impatto devastante su programmi essenziali per la sopravvivenza, come la distribuzione di cibo, cure mediche e assistenza per l’acqua potabile. Le organizzazioni umanitarie, già in difficoltà nel raggiungere le zone più colpite dal conflitto, hanno dovuto ridurre le loro operazioni, lasciando milioni di persone senza supporto. La riduzione degli aiuti ha portato anche al collasso di molte strutture sanitarie, rendendo impossibile gestire malattie come il colera e altre infezioni diffuse nel Paese. Diverse ONG, come Intersos, sono state costrette a chiudere i centri comunitari dediti alla tutela della salute dei bambini e delle donne in stato di gravidanza, poiché non sono più in grado di sostenere le spese delle attrezzature mediche, delle cliniche mobili e le forniture di medicinali, implicando la sospensione dell’assistenza medica gratuita per milioni di persone.
Le Nazioni Unite e le ONG continuano a lanciare appelli per il ripristino degli aiuti e per una soluzione diplomatica al conflitto, tuttavia, la mancanza di fondi e la complessità della guerra rendono difficile un’inversione di rotta a breve termine. Se la comunità internazionale non interverrà con misure urgenti, la crisi yemenita rischia di trasformarsi in una delle peggiori tragedie umanitarie della storia recente.
Abbiamo raggiunto Alessandra Caputo, ex studentessa del liceo classico di Cetraro, responsabile del Programma di Emergenza e Protezione dell’ONG Intersos, che ha operato nei territori dello Yemen fino al mese di marzo e ci ha potuto dare una testimonianza diretta della tragica situazione vissuta dal popolo yemenita.
Come descriverebbe la situazione umanitaria che ha trovato al suo arrivo in Yemen?
La situazione in Yemen è estremamente critica, segnata da un decennio di conflitto che ha devastato le infrastrutture, paralizzato i servizi pubblici e alimentato una crisi umanitaria implacabile. È il paese più povero del mondo arabo. Oltre la metà della popolazione necessita di assistenza, con 19,5 milioni di persone in disperato bisogno di aiuti umanitari e protezione.
L’economia è in crisi, con instabilità valutaria e prezzi elevati dei generi alimentari che rendono difficile per le famiglie permettersi i beni di prima necessità. La popolazione è diventata sempre più dipendente dagli aiuti umanitari per la sopravvivenza, infatti il 49% della popolazione vive una condizione di insicurezza alimentare acuta. In particolare 2,3 milioni di bambini sotto i cinque anni soffrono di malnutrizione.
L’accesso all’acqua pulita e ai servizi igienici è gravemente limitato: 15,2 milioni di persone non hanno accesso ad acqua sufficiente per i bisogni quotidiani, e 12,6 milioni mancano di accesso a servizi igienico-sanitari migliorati, esacerbando i rischi per la salute e le epidemie.
Il conflitto ha causato anche un massiccio sfollamento interno, con 4,8 milioni di persone che sono state sfollate e 7,5 milioni che necessitano di rifugio e beni essenziali per la casa.
Il sistema sanitario è sotto pressione, con il 40% delle strutture sanitarie solo parzialmente funzionanti o completamente fuori servizio, impedendo a milioni di persone di accedere a cure adeguate.
Gruppi particolarmente vulnerabili includono 5,2 milioni di persone con disabilità, 6,2 milioni di donne e ragazze a rischio di violenza di genere, e 193.000 migranti, rifugiati e richiedenti asilo largamente esclusi dai sistemi di supporto locali. La necessità di aiuti umanitari è quindi disperata per prevenire immense sofferenze.
Quali sono stati i principali ostacoli quotidiani che ha affrontato nel suo lavoro sul campo?
Il lavoro sul campo è sempre stato impegnativo in Yemen, un ambiente operativo complesso e volatile. Tra gli ostacoli quotidiani rientrano l’insicurezza, le restrizioni di accesso e le difficoltà logistiche. Anche prima dei recenti tagli, la situazione era difficile. Ora, l’ostacolo principale è dover decidere cosa salvare e cercare di concentrare le poche risorse rimaste nei servizi essenziali, una situazione incredibilmente frustrante.
In che modo ha percepito concretamente l’impatto dei tagli ai finanziamenti USA sulle operazioni umanitarie?
L’impatto dei tagli ai finanziamenti USA è stato immediato e inaspettato. L’improvvisa decisione di mettere in pausa l’assistenza estera ha impattato in modo devastante le vite delle persone più vulnerabili, mettendole ad altissimo rischio.
INTERSOS, come altre organizzazioni, è stata improvvisamente costretta a sospendere la fornitura di assistenza salvavita. Nello specifico, circa 63.000 persone sono rimaste senza servizi essenziali di salute, nutrizione, WASH (acqua, igiene e servizi igienico-sanitari) e protezione. Ciò ha indirettamente colpito le vite di altre 121.104 persone nelle aree più remote e neglette.
Questi tagli, inclusa una riduzione del 42% dei fondi da BHA per INTERSOS, hanno comportato la cessazione del lavoro per 86 membri del personale e 218 operatori sanitari di prima linea, compromettendo gravemente la fornitura di aiuti salvavita.
Può raccontarci qualche episodio emblematico che mostra quanto fosse critica la situazione dopo la riduzione degli aiuti?
Ci sono diversi episodi che mostrano la criticità della situazione dopo i tagli, ad esempio il caso di una donna nel campo IDP di Al-Dhabat morta per emorragia post-partum prevenibile perché i fondi bloccati hanno fermato i servizi di ambulanza e clinica mobile. Oppure il caso di un neonato morto per grave privazione di ossigeno perché l’assistenza neonatale non era disponibile e la struttura sanitaria più vicina era a tre ore di distanza. Particolarmente toccante è anche la storia del piccolo Hussein di 5 anni e di sua madre: Hussein soffriva di infezioni gravi e diarrea potenzialmente fatale, mentre sua madre ha dovuto intraprendere un faticoso viaggio di tre ore per raggiungere il centro sanitario più vicino, lasciando gli altri suoi figli da soli nel campo, perché il centro supportato da INTERSOS era chiuso. Questi episodi dimostrano in modo brutale come la cessazione improvvisa dei servizi abbia un costo umano devastante.
Come hanno reagito le comunità locali alla sospensione o alla riduzione dei programmi umanitari?
Le comunità hanno reagito con disperazione e un senso di abbandono. Nel campo di Al-Dhabat, la comunità, dipendente dai servizi di cliniche mobili, si è sentita abbandonata nel momento di massimo bisogno. La sospensione improvvisa non solo mette a rischio immediato le popolazioni vulnerabili, ma minaccia anche di smantellare 17 anni di fiducia meticolosamente costruita con le comunità. Il nostro team riceve decine di chiamate al giorno da persone che cercano aiuto che non possiamo più fornire.
Ha mai avuto momenti in cui ha temuto per la propria sicurezza?
Lo scorso 15 marzo, quando sono iniziati i raid aerei statunitensi che sono proseguiti per due settimane, prendendo di mira la capitale yemenita, Sana’a, il mio collega era appena partito per le ferie e io ero da sola nella casa/ufficio di INTERSOS quando ho iniziato a sentire forti boati. I raid aerei hanno causato vittime e feriti anche nelle aree vicine alle abitazioni di 6 colleghi e tra i 5 e i 15 chilometri dall’ufficio INTERSOS in cui mi trovavo. Ho temuto per la mia incolumità, per quella delle mie colleghe, dei miei colleghi, delle loro famiglie e per i civili.
Che messaggio lancerebbe oggi alla comunità internazionale per il popolo yemenita?
Il messaggio alla comunità internazionale sarebbe un appello urgente per un’azione immediata e sostenuta. Dobbiamo evitare un disastro umanitario ancora più profondo. I progressi faticosamente ottenuti in anni di interventi salvavita sono minacciati da un imminente deficit di finanziamenti. Non si può abbandonare il popolo yemenita in questo momento critico. Il fallimento nell’ottenere finanziamenti aggiuntivi immediati metterà le vite dei più vulnerabili a rischio, spingendo le comunità mirate più vicino all’orlo della catastrofe.
È fondamentale che l’assistenza umanitaria vitale rimanga accessibile, garantendo non solo beni materiali, ma anche il benessere mentale ed emotivo di coloro che ne hanno più bisogno. Ogni vita, specialmente quella di un neonato, merita la possibilità di prosperare.
Il costo dell’inazione si misurerà in sofferenza, instabilità e futuro perduto. Questo è il momento di mostrare solidarietà, non di ritirarsi. I donatori devono onorare i loro impegni e garantire che la risposta umanitaria, già gravemente sottofinanziata, possa continuare a salvare vite e a costruire resilienza duratura. La necessità di fondi immediati è disperata e non può attendere settimane.
Di Ilaria Brusca
e Michela Rugiero