Le tappe di un conflitto decennale

Il 22 Aprile 2025 dei turisti, prevalentemente indù, sono stati freddati nella regione del Kashmere da un gruppo di terroristi islamici. I racconti dei sopravvissuti sono terribili: i terroristi avrebbero separato gli indù dai musulmani, chiedendo agli uomini che religione professassero, e di recitare dei versetti del Corano. La morte attendeva coloro che non ne fossero capaci. Il governo indiano ha rapidamente reagito, attribuendo l’attacco a un gruppo operante nel vicino Pakistan, suo storico rivale. Giovedì 7 Maggio, il primo ministro indiano, il suprematista indù Narendra Modi, ha autorizzato dei raid aerei e missilistici in profondità nel territorio del Pakistan, per la prima volta nella storia dei due paesi. Si tratta di una mossa molto rischiosa: mentre la dottrina militare indiana vieta l’utilizzo della bomba atomica a meno che l’India non sia stata a sua volta attaccata con ordigni nucleari, quella pakistana è molto meno restrittiva, permettendo l’utilizzo di tali armi nel caso in cui gli “interessi vitali” del paese siano messi a rischio. Fortunatamente, i due paesi hanno annunciato un cessate il fuoco il 10 Maggio, anche grazie alla mediazione americana (per lo meno secondo gli americani, visto che entrambe i governi hanno sostenuto di aver trovato un accordo attraverso delle negoziazioni dirette).

Ma da dove viene questo conflitto, che costringe i due giganti dell’Asia del Sud a un confronto continuo, da ormai quasi 80 anni?

Come molti dei conflitti di lunga durata moderni, le sue radici affrontano nella storia coloniale precedente alla seconda guerra mondiale. I territori attualmente sotto il controllo dei due stati, e per la verità anche molti altri, sono stati fino al 1947 sotto il controllo del British Raj, il gioiello della corona dell’impero britannico. La partizione che seguì l’indipendenza della colonia più popolata della storia, abitata da indù, musulmani, sikh e decine di altri gruppi etnici e religiosi, avvenne seguendo le linee di confine dei principati locali, di cui gli inglesi avevano parzialmente preservato l’autorità, al fine di creare due stati relativamente omogenei dal punto di vista confessionale. Il risultato, in gran parte dovuto alla secolare coesistenza di diversi gruppi all’interno della stessa area, fu a dir poco disastroso: il più grande spostamento permanente di persone della storia ebbe luogo, con flussi stimati fra 12 e 14 milioni di individui, un terzo dei musulmani del raj restarono in India, e seguire le linee definite dai confini amministrativi e dai principati non portò necessariamente all’omogeneità sperata in un territorio sterminato e storicamente popolato da gruppi diversissimi fra loro, come illustra bene il caso dell’Hyderabad. Tuttavia, gli eventi del Kashmere furono quelli che più di
tutti segnarono gli sviluppi futuri: il principe indù di questo territorio prevalentemente abitato da musulmani si rivolse all’India quando fu attaccato da milizie musulmane, sostenute dal Pakistan, a seguito della sua dichiarazione di indipendenza da entrambi gli ingombranti vicini. Pur di ottenere la protezione indiana, accettò le condizioni che gli furono imposte, cioè l’annessione allo stato allora capitanato da Nehru, discendente spirituale di Gandhi. La prima guerra del Kashmere si arrestò nell’Aprile del 1948, grazie alla mediazione dell’ONU, che all’epoca muoveva i suoi primi passi. Da allora, la regione resta divisa lungo le linee di controllo effettivo, confermandosi puntualmente come fonte di tensione tra due potenze dotate di forze convenzionali mostruose, e ormai da decenni, delle armi atomiche. Da allora, gli scontri sono stati numerosi, dalla guerra del 1965, risolta sempre grazie alla mediazione dell’ONU, alla guerra del 1971, che vide la partizione del Bangladesh, appoggiato dall’India, dal Pakistan, al conflitto del Siachen, fino allo scontro del 1999, dove il Pakistan fu obbligato a ritirarsi dal distretto di Kargil, che aveva occupato poco prima, per via della violenta reazione dell’India e della comunità internazionale.

Il conflitto è ormai parte integrante dell’identità, se non dei due popoli, per lo meno dei due stati, che si avvertono vicendevolmente come minaccia mortale che, a lungo termine, bisogna eliminare, al fine di non esserne a propria volta eliminati. Questa osservazione, unita all’instabilità interna del Pakistan, attualmente e per gran parte della sua storia di fatto sotto il controllo dei militari, e al discorso sempre più nazionalista e aggressivo di Narendra Modi, non lasciano presagire sviluppi positivi per una regione funestata per decenni da un conflitto apparentemente senza fine.

di Bettina Avolio V D