Il 22 aprile, la località turistica di Pahalgam, nel Kashmir indiano, è stata teatro di un attacco terroristico devastante che ha riacceso con violenza una delle dispute territoriali più pericolose e longeve al mondo. L’attentato, rivendicato dal gruppo separatista Kashmir Resistance, ha provocato la morte di 26 persone, tra cui numerosi turisti indiani. Il governo di Nuova Delhi ha immediatamente accusato il Pakistan di essere complice indiretto, denunciando il suo supporto logistico ai militanti.

La risposta dell’India è stata fulminea e dura: il primo ministro ha sospeso il trattato sul fiume Indo, che per anni aveva rappresentato un simbolo di cooperazione bilaterale, e ha chiuso lo spazio aereo ai voli provenienti dal Pakistan. Ma non è finita qui: è stata avviata una vasta operazione di sicurezza interna, con oltre 2.000 arresti nella Valle del Kashmir e la demolizione di abitazioni accusate di ospitare attività terroristiche.

Il governo pakistano ha respinto le accuse con forza, definendole “strumentalizzazioni politiche” e bollando le azioni indiane come “provocazioni militari” e “violazioni del diritto internazionale”. Il ministro della Difesa, Khawaja Muhammad Asif, ha minacciato una risposta militare decisa a qualsiasi forma di aggressione, definendo le mosse dell’India come “atti di guerra”. Intanto, i due eserciti si sono già confrontati sul campo, con scontri armati lungo la Linea di Controllo (LoC), dove l’artiglieria e le armi leggere sono state protagoniste.

Il timore che l’escalation non si limiti a scontri a bassa intensità è palpabile, soprattutto perché India e Pakistan sono entrambe potenze nucleari. Con circa 160 testate nucleari ciascuna, secondo stime dell’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons(ICAN) e del SIPRI (Stockholm International Peace ResearchInstitute), i due paesi hanno sviluppato dottrine nucleari che contemplano scenari di primo utilizzo. Mentre l’India ha ufficialmente adottato una politica di “no first use” (nessun primo utilizzo), negli ultimi anni alcuni suoi funzionari hanno messo in discussione questa linea. Il Pakistan, invece, non ha mai escluso la possibilità di ricorrere alle armi nucleari anche in risposta a un attacco convenzionale, rendendo ogni crisi tra le due nazioni estremamente pericolosa.

Un errore di calcolo o un’escalation fuori controllo potrebbe portare a scenari devastanti non solo per il subcontinente, ma per l’intera regione asiatica. Le città densamente popolate come Delhi, Islamabad, Lahore e Mumbai sarebbero nel mirino in caso di un conflitto nucleare.

La comunità internazionale ha immediatamente preso posizione. Il segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto a entrambe le parti di “mostrare moderazione e impegnarsi in un dialogo costruttivo”. Gli Stati Uniti hanno definito la situazione “gravissima”, mentre la Cina, pur essendo tradizionalmente alleata del Pakistan, ha offerto la sua mediazione. L’Unione Europea ha chiesto un’indagine indipendente sull’attentato e il ritorno ai colloqui bilaterali.

In India, l’opinione pubblica è divisa: c’è chi chiede una risposta militare forte, ma anche chi teme che una guerra possa travolgere l’intera regione. In Pakistan, il governo affronta una crescente pressione interna, tra l’impopolarità e il bisogno di non apparire debole di fronte all’India.

Il conflitto in Kashmir, uno dei più lunghi irrisolti della storia moderna, ha già visto tre guerre tra India e Pakistan (1947, 1965, 1971) e numerose crisi minori. Nonostante i trattati per ridurre i rischi nucleari, la fiducia reciproca tra i due paesi è ai minimi storici. Oggi, a quasi 80 anni dalla spartizione del subcontinente, la situazione sembra ancora senza una soluzione politica concreta, e la presenza di armi nucleari rende ogni scintilla potenzialmente letale.

di Andrea Imperatore

Classe IV C Liceo Scientifico